«Senofonte ha il grande merito, sul piano morale – osserva con acutezza Italo Calvino – di non mistificare, di non idealizzare mai la posizione della sua parte. Se verso i costumi dei barbari manifesta spesso il distacco e l’avversione dell’uomo civile va però detto che l’ipocrisia colonialista gli è estranea. Sa di essere alla testa d’un’orda di predoni in terra straniera, sa che la ragione non è dalla parte dei suoi ma da quella dei barbari invasi. Nel cercare di dare uno stile, una norma, a questo muoversi biologico d’uomini avidi e violenti tra le montagne e le pianure dell’Anatolia sta tutta la sua dignità: dignità limitata, non tragica, in fondo borghese. Sappiamo che si può riuscire benissimo a dare apparenza di stile e di dignità alle azioni peggiori, anche non dettate come queste da uno stato di necessità».
«Al confronto de Il richiamo della foresta tutte le altre storie – un critico anonimo sul San Francisco Chronicle – o gli altri schizzi, sulla seconda corsa all’oro del diciannovesimo secolo appaiono insignificanti. Feroce, brutale, schizzata di sangue, animata dalla schiocco della frusta e dal sibilo del bastone, si tratta tuttavia di una storia che suona la nota profonda della tenerezza fra l’uomo e l’animale, e della lealtà e della fedeltà che non viene mai meno, neppure tra le fauci della morte».
Due viaggi, entrambi caratterizzati dalla nostalgia e dalla lotta per la sopravvivenza. Senofonte lotta per salvare il suo esercito e ricondurlo in patria, Buck lotta per salvare se stesso ed il suo amato padrone in un cammino che risveglia antiche nostalgie.
Senofonte era ateniese ma non amava Atene, soprattutto se ne allontanò disgustato dopo la condanna a morte di Socrate, di cui era allievo. Esule a Sparta si ritirò a Scillunte (dono degli spartani) dove visse una vita agiata e serena che non era quella degli ateniesi. Pur tuttavia inviò i suoi due figli a difendere Atene dai tebani, ed uno dei due morì in battaglia. Senofonte visse oltre gli ottant’anni.
Jack London era figlio illegittimo di un astrologo nomade. Da lui ereditò l’incapacità di stare fermo in un luogo fisico. Iscritto all’università dovette abbandonare gli studi per motivi economici. Toccò il fondo del gusto per la violenza e la brutalità diventando cacciatore di foche, ma al ritorno sposò le teorie socialiste. Durante la sua breve vita non trovò tregua. Il senso può essere colto nelle parole di George Luis Borges: Jack London morì a quarant’anni ed esaurì fino alla feccia la vita del corpo e quella dello spirito. Nessuna delle due lo soddisfece del tutto, e cercò nella morte il tetro splendore della vita.
Un bel post carissima.
Un romanzo quasi autobiografico di London fu "Martin Eden", che mi ricordo aver letto ed in cui c'è una frase che testimonia la sua testarda lotta contro il destino.
Pensatoio
@pensatoio, grazie! Magari leggerò il romanzo che mi hai segnalato 😉
Ho letto Il richiamo della foresta, mentre non ho letto Anabasi di Senofonte, ma dopo questo bel post vedrò di leggerlo 😉
Giuseppe
Io ho avuto difficoltà a staccarmi dal testo. L'avrei letto tutto di un fiato.
Il richiamo della foresta l'ho ri-letto in poche ore