Il Pronto Soccorso di Avellino è esteticamente un luogo molto gradevole, è tutto nuovo, contemporaneo, la stanza del ricovero momentaneo è sistemata in modo che l’equipe medica possa tenere, a colpo d’occhio, sotto controllo tutti. Anche gli accostamenti cromatici, dal giallo ocra al ruggine, al verde delle tende sono di forte impatto cromatico. Magari i posti letto sono insufficienti, magari ci sono anche collocati malati a lungo degenza in attesa che si liberino posti nei reparti di riferimento, ma rimane un luogo che pur nel caos della propria destinazione d’uso ha saputo trovare un suo equilibrio e pure una certa privacy.
Il personale poi, è di una cortesia e di una gentilezza che non ti aspetti. Medici ed infermieri sono un ibrido a metà strada fra angeli ed eroi; ogni giorno salvano vite umane e lo fanno in un modo così spontaneo che a guardarli ti senti un po’ in imbarazzo. Sono dei giganti e non lo sanno. Sempre disponibili con tutti, anche con chi è disperato, con chi è nervoso, con chi chiede l’impossibile e con chi non sa essere grato.
Il pronto soccorso è un piccolo mondo dove s’incrociano destini diversi, dove un animo sensibile può fare i conti con tutta la sua umanità sommersa.
Quando l’animo giornalistico cerca di investigare vengono fuori dati sconcertanti. Il 90% dei ricorrenti alle cure del Pronto Soccorso non ne avrebbe bisogno e tra questi molti lo fanno per ottenere gratuitamente gli esami previsti dal protocollo di intervento. Il risultato è che si sottraggono energie e risorse ai casi che necessitano di intervento immediato e reale. Da una parte il Pronto Soccorso sopperisce a carenze strutturali del Servizio Sanitario Nazionale, dall’altra la sua efficacia sull’utente bisognoso subisce un rallentamento.
E poi ci sono loro, i pazienti, molti anziani, qualcuno terminale. Alcuni hanno dietro le pletore delle famiglie, altri sono soli e nessuno li cerca, altri ancora hanno le badanti dell’Est. Ce ne sono alcuni sedati, ridotti a vegetali, attaccati ai respiratori che hanno sul viso già i colori della morte. Te li immagini in vita, giovani e vigorosi, cerchi di indovinare il loro passato, se hanno amato, quali lavori hanno svolto, se sono stati felici. Rivedi la parabola dell’esistenza, ma non è una proiezione personale, piuttosto, per chi muove i primi passi nel crepuscolo della vita, è la comprensione profonda della misera condizione umana.
Poi ci sono anche i pazienti impazienti, per fortuna assai pochi, che vedono il bicchiere sempre mezzo vuoto scambiando il Pronto Soccorso per un resort di lusso e si lamentano di tutto e con tutti. Il dolore non è una vacanza.
E per finire c’è quell’atmosfera sospesa, pregna dei pensieri collettivi, delle sofferenze di tutti, c’è quell’odore di dolore misto a sofferenza ed esalazioni mediche… umori che si mescolano. Un luogo fisico dove individualismi e solitudini si riuniscono all’originario multiverso in un unico sospiro.
Se qualcuno volesse cogliere l’essenza della vita e della morte, afferrare il senso ultimo della parola umanità, allora dovrebbe almeno una volta nella vita trascorrere 24h nel Pronto Soccorso.